Sono giovane e scappo all’estero!
I giovani rappresentano il futuro di ogni Paese ma la crisi economica degli ultimi anni ha portato molti di essi ad allontanarsi dal proprio paese di origine. Non si tratta esclusivamente di giovani disoccupati ma anche di tanti che hanno un lavoro precario e vogliono migliorarsi. Molti gli aspetti che riguardano questo argomento, dalla tradizione, alla mancanza del lavoro fino ad arrivare all’aspetto psicologico dell’abbandono del “nido” familiare e della propria Nazione. Gli stimoli e le opportunità di emancipazione individuale offerti dalla società italiana sono spesso pochi, quasi inesistenti. Per questo, ci vuole molta speranza nel futuro.Il lavoro è fondamentale nella vita di un uomo, dà senso e valore all’esistenza di ciascuno. Un problema reale che, con il passare degli anni, tenderà ad aumentare sempre più. Questo fenomeno, passa inosservato sotto gli occhi del Governo. Nonostante ciò, i giovani dovrebbero comunque dimostrare la loro capacità ed il loro desiderio di inserirsi nel mondo lavorativo. Come recita la nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, ma oggi tale affermazione sembra solo teoria. Soprattutto coloro che hanno conseguito lauree o comunque hanno approfondito gli studi dovrebbero sfruttare le loro capacità, rimanendo nel proprio paese di origine, e tutto ciò che hanno realizzato nel corso della loro vita dovrebbe essere valorizzato dalla società al meglio. I dati Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) evidenziano come l’Italia sia stato negli ultimi quindici anni l’unico Paese europeo a presentare un valore negativo del tasso di scambio di giovani altamente qualificati.
Secondo i dati Istat, nel primo decennio di questo secolo hanno cancellato la propria residenza in Italia oltre 300mila cittadini.Le destinazioni principali sono state: Germania, Svizzera, Regno Unito, Francia, Stati Uniti. In crescita, però, è anche il flusso verso i Paesi in forte crescita, come Brasile, Cina, Sudafrica. L’aumento della mobilità per studio e lavoro è, di certo, del tutto coerente con i processi di sviluppo attuali. L’ideale per un Paese non è quindi la situazione di mobilità zero. Sarebbe sbagliato “ingabbiare” i propri talenti. Ma una fuga unidirezionale non deve mai essere auspicabile, perché depaupera il luogo di partenza. La condizione ottimale sarebbe, invece, la circolazione cioè la possibilità di poter andare ma poter fare anche il percorso inverso e tornare. Il problema dell’Italia non sono i tanti validi giovani che se ne vanno, ma i pochi che ritornano.
Tale fenomeno impoverisce il Paese e lo fa entrare in una spirale negativa. I Paesi più dinamici e competitivi attuano, invece, politiche di attrazione per giovani di qualità e riconoscono come veri e propri investimenti le opportunità che forniscono a essi. L’Italia, restando a guardare, perde non solo moralmente ma anche economicamente. Infatti, a parte il “costo fiscale” del brain drain, cioè la spesa per fornire istruzione ad uno studente italiano che poi emigra all’estero, si arricchiscono altre nazioni con le nostri talenti: solo in termini di brevetti depositati, I-com (l’Istituto per la competitività) ha calcolato nel 2011 il valore generato dai venti migliori scienziati italiani residenti all’estero: oltre 800 milioni di euro. La Nazione ha molte potenzialità ma deve diventare nuovamente attrattiva e trasformare la sua ricchezza culturale e creativa in un valore aggiunto per la crescita personale, sociale ed economica dei suoi cittadini. Questa potrebbe essere, ormai, l’unica sua opportunità per invertire la tendenza della cosiddetta “fuga di cervelli”. Con buona pace dei disfattisti.
Di Carlotta Sermoneta, studentessa dell’Istituto di Istruzione Superiore “Carlo Urbani” sede di Acilia