Dottori NON dottori: l’importante è la professionalità

Nonostante le carenze del sistema scolastico e le accuse più o meno forti, sia dall’interno che dall’esterno del sistema, continua la caccia ai titoli di studio sia a livello di licenze e diplomi (che ha alimentato un ricco mercato di scuole private finalizzate al recupero di anni scolastici), sia a livello di lauree. Alunni e genitori, anche se ormai senza troppa convinzione, continuano a rincorrere il miraggio del “pezzo di carta” nella speranza che questo possa aprire o facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro. Ha senso tutto questo? Difficile rispondere: tutto dipende da ciò che realmente si vuole.
Se si mira soprattutto al lavoro, la risposta non può che essere negativa ha affermato un gruppo di giovani, intervistati all’ingresso di un Istituto Tecnico di Ostia ed al centro di Roma. Essi sono stati nel complesso concordi nell’affermare che, un po’ ovunque, abbondano diplomati e laureati (la cosiddetta disoccupazione intellettuale!) in cerca di un lavoro che, ahimè, diventa sempre più difficile, specie per coloro per i quali il titolo di studio è solo un “pezzo di carta”, preso alla bene e meglio e senza nessuna competenza specifica (per ovviare a ciò, oggi la Scuola italiana sta correndo ai ripari con percorsi che mirano al conseguimento del cosiddetto “portfolio delle competenze”).
Isabella R., una studentessa che frequenta l’ultimo anno del Liceo Scientifico “Democrito” di Casalpalocco (quartiere residenziale a sud- ovest di Roma), ha affermato: “La verità è che, nella maggior parte dei casi, gli studenti-forzati diventano i professionisti dei concorsi pubblici e privati, ne tentano a decine, tutti quelli cui il loro “titolo” dà accesso ma sempre con gli stessi risultati. Ed accrescono la nomea dei concorsi “truccati”, che si basano sulla forza della “raccomandazione”. La ragazza ha in parte ragione ma il malcostume della “raccomandazione” oggi non è tanto diffuso ed onnipotente quanto si è portati a credere.
Qual è la verità, allora? È che quegli ex “studenti-forzati”, come li ha chiamati Isabella R., un anno o due dopo il conseguimento del sospirato “titolo”, dimenticano quel poco che a fatica avevano appreso e ripiombano in quello che i colti definiscono “analfabetismo di ritorno”, che rende quasi impossibile il loro ingresso nel mondo del lavoro.
Un cambio di scenario è possibile, capendo più a fondo la trasformazione del rapporto studio-preparazione-lavoro e mutando radicalmente la mentalità della scelta dopo l’Esame di Stato del secondo ciclo di studi.
Se si valuta che è meglio puntare alla laurea, che laurea sia, se si opta per corsi più brevi, ci si documenti con molto scrupolo, sui contenuti e sugli esiti.
Non è più tempo di illudersi sulla falsa elevazione sociale di un titolo qualunque. Non è più tempo di impaurirsi, però, davanti alla discriminazione inesistente fra dottori e non dottori: la società italiana ha bisogno di gente preparata per i pochi posti che essa può offrire.
È questo l’obiettivo che tutti i giovani devono prefiggersi: studiare ed aggiornarsi di continuo, laurea o non laurea.

Di Leonardo Velotta, studente dell’Istituto di Istruzione Superiore “Carlo Urbani” sede di Acilia

Redazione

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