L’Arco che non fu mai
“… e davanti a Voi, il simbolo di questa Esposizione, l’Arco dell’acqua e della luce, progettato da Adalberto Libera, vi dà il benvenuto nella Città di Roma…”. Tra le decine di passeggeri assiepati nel pullman aperto si leva un “ooooh” ammirato: nel tramonto di una giornata estiva, la struttura in duralluminio è ancora più accentuata, nel contrasto naturale evidenziato dalle nuvole rosate in sottofondo. Avete lasciato l’aeroporto da una ventina di minuti e siete stanchi dopo una giornata di viaggio, ma una sosta in più prima di recarvi all’albergo sulla via Laurentina valeva la pena; l’E42 domani sarà affollatissimo, ma adesso, con la folla che va scemando e con gli ultimi raggi solari che lambiscono il travertino lucente, l’Esposizione ha un fascino quasi onirico… Se qualcosa non vi torna in questa descrizione, non preoccupatevi: quella che avete appena letto è un’ucronia, una realtà che avrebbe potuto essere ma che non è stata. “Avrebbe potuto” perché, in questo caso, l’Esposizione del 1942, l’E42 non fu mai organizzata. In quegli anni in Europa si combatteva, infatti, la guerra. Ma la maggior parte degli edifici erano già stati costruiti negli anni precedenti, così, dopo il conflitto mondiale, essi vennero recuperati dalle sterpaglie che li avevano assediati. Sorse così un quartiere che per la sua carica innovativa sarebbe stato apprezzato dagli architetti di tutto il mondo. E da che avrebbe dovuto ospitare oggetti provenienti da tutto il mondo, vide arrivare uffici e appartamenti che, negli anni ’60, completarono il “Pentagono”, dalla forma geometrica che il quartiere aveva già nel suo progetto originale. Ma non furono solo le case a cambiare l’aspetto originario dell’E42. Gli architetti che vi avevano lavorato in precedenza recuperarono i loro progetti e, dove poterono, terminarono, senza troppe modifiche, il loro lavoro. È stato così, ad esempio per il Parco del lago. Ma non è andata allo stesso modo, invece, per l’albergo sulla Laurentina nel quale avrebbero dovuto soggiornare gli ospiti, nel frattempo diventato un quartiere a sé, il Villaggio Giuliano Dalmata. Ma soprattutto, non è stato così per quello che doveva essere il simbolo dell’Esposizione, la “Porta Sud” di Roma, di quella “Terza Roma” che si andava protendendo verso il mare, l’Arco dell’Architetto Adalberto Libera.
Oggi, se pensiamo all’Eur, ci viene in mente il Palazzo della Civiltà Romana, il cosiddetto “Colosseo quadrato”. Ma all’epoca, l’idea era che questo enorme arco di duralluminio avrebbe rappresentare ciò che è stato l’Albero della Vita per l’Expo di Milano 2015. Il progettista lo aveva, infatti, immaginato come un grande ingresso all’esposizione, circondato da fontane e giardini. Come però avrà inteso il lettore, dell’Arco, non se ne fece più niente. Al suo posto, nel dopoguerra, dove esso avrebbe dovuto sorgere fu invece realizzato il Palazzo dello Sport. È stata portata avanti invece la realizzazione delle aree verdi, cosi che oggi possiamo ammirare Il Giardino delle Fontane.
Si è parlato spesso di realizzare questo progetto mai iniziato. L’ultima volta con la giunta Alemanno, quando si aprì un dibattito tra favorevoli e contrari. L’idea sarebbe stata di finanziarlo con investimenti privati, attraverso il cosiddetto “project financing”. Fu addirittura lanciato un sondaggio, che vide favorevoli una grande maggioranza degli intervistati. Capofila dell’idea era, tra l’altro, l’architetto australiano Nikos A. Salìngaros, a testimonianza della considerazione di cui gode questa parte di Roma all’estero.
Ad oggi, il dibattito è fermo. Ma dopo la riapertura del Bunker sotto il Palazzo degli Archivi e del Giardino delle fontane, non si può escludere che un giorno, gli automobilisti diretti a Roma, possano scorgere da lontano la forma di un arco… Si dice, infine, che sebbene l’opera non fu mai realizzata, furono invece comprati i componenti metallici, che, non essendo poi stati adoperati, furono invece usati per i pomelli delle porte del quartiere. Non sappiamo confermare se questa storia corrisponda a realtà o meno, anche se, concedeteci, è divertente pensare che la nostra porta potrebbe essere un pezzo di storia dell’architettura…
Di Gabriele Rizzi