Misteri di Roma #2: cosa c’è in quel mosaico?
L’odore dolce del caffè appena fatto si diffonde nella vostra cucina; è domenica e questo è il vostro momento – relax. Avete appena degustato placidamente i vostri pasticcini al cioccolato e a breve vi addormenterete guardando le partite della Serie A. Ma al risveglio – non c’è che dire, una partita veramente avvincente – la vostra vocina interna vi spinge ad alzarvi da quella comoda poltrona; ma per cosa abbandonare quel comodo cuscino che ormai ha preso la vostra forma? Fuori piove, che altro si potrebbe fare? E mentre state per mettere a tacere la vostra attiva coscienza, vi ricordate di quel consiglio fattovi dal vostro vicino: visitare Palazzo Massimo alle Terme. Con uno sforzo sovrumano, proponete l’idea a parenti e amici e nel giro di un’ora siete davanti la biglietteria.
Ne valeva la pena alla fin fine; oltre all’ampia collezione numismatica, avete potuto vedere il bronzeo Pugile a riposo e numerosi altre sculture dei vostri antenati romani. Ma è al secondo piano che qualcosa attira la vostra attenzione: sulle prime gli avete dedicato si e no mezzo secondo, ma quella stessa coscienza attiva che prima vi aveva spronato ad alzarvi dal divano non se l’è fatto sfuggire. Incuriositi e allo stesso tempo un po’ emozionati nel sentirvi dei novelli Indiana Jones, chiamate il vostro amico e gli fate: “Ma a te, quello cosa sembra?”. Domanda da un milione di dollari. Pardon, di sesterzi. Quello che avete appena visto è secondo alcuni la prova che i nostri antenati romani si sarebbero spinti ben più in là delle Colonne d’Ercole. Quanto più in là? Beh, quanto basta per raccogliere un ananas maturo. Lì sul mosaico, dopo uva, fichi e melograni vi è infatti un frutto che agli occhi di un uomo moderno non può che ricordare quel prodotto tropicale portato in Europa da Colombo solo nel 1493. In effetti, l’ipotesi non è nuova. Molti studiosi hanno dedicato le loro ricerche a cercare di dimostrare come gli antichi, non solo i Romani, avessero una padronanza del mare maggiore di quella dell’uomo medievale. In effetti, già Erodoto ci informa che dei navigatori cartaginesi sotto il Faraone Neco II avrebbero compiuto la prima circumnavigazione dell’Africa già nel 600 a.C., fornendoci inoltre un indizio che lo confermerebbe: il fatto che durante il viaggio avrebbero avuto per un periodo, il sole a destra pur essendo loro partiti dal Mar Rosso. Una prova quindi del fatto che avrebbero navigato dal Capo di Buona Speranza verso nord. Ma dopo di loro, i nostri antenati sarebbero andati anche oltre. A riprova di ciò, il fatto che in una nave romana ritrovata davanti le coste toscane sono stati trovati medicinali a base di ibisco – che poteva provenire solo dall’Etiopia o dall’India – e semi di girasole. Che come gli ananas, arrivarono nel vecchio continente solo con i primi viaggi nelle Americhe. Vi sono però studiosi che sostengono invece che il tutto vada letto secondo quanto già conosciamo dei Romani. La pianta che state ammirando non sarebbe altro che una pigna di pino domestico abbellita da un ciuffo di foglie. Così si vorrebbe spiegare anche un altro affresco, questo situato in una villa romana a Napoli, che raffigurerebbe anch’esso un ananas. Secondo altri, i Romani sarebbero invece entrati in contatto con questo frutto attraverso i Cartaginesi, i cui mercanti pare si siano spinti fino alle coste dell’Africa Occidentale, dove tale prodotto è ancora oggi coltivato. Forse non potremmo mai giungere ad una conclusione definitiva – sono molti quanti assicurano di aver trovato manufatti romani in posti dove questi, secondo quanto sappiamo, non sarebbero mai arrivati – ma l’ipotesi è senza dubbio suggestiva e non può fare a meno di destare curiosità.
Uscite quindi da Palazzo Massimo con il dubbio che un qualche vostro antenato romano possa essere giunto così lontano, quando improvvisamente vi rendete conto che ha smesso di piovere; e mentre riponete l’ombrello nello zaino non potete fare a meno di chiudere la discussione aperta prima di fronte a quel frutto misterioso con una battuta: “Non sembra anche a voi un clima…tropicale?”
Di Gabriele Rizzi