Tra gladiatori e il Tevere: il Trullo che dà il nome al quartiere
Quando vi si trasferirono le numerose famiglie del Meridione lo conobbero come “quartiere Costanzo Ciano”. Solo nel 1945, dopo un breve periodo in cui aveva preso il nome dal Duca D’Aosta, cominciò a essere chiamato ufficialmente con il toponimo che oggi conserva. E che sicuramente fa felici le famiglie originarie della Puglia. Specialmente quelle di Alberobello.
Non è bianco né è meta di turisti alla ricerca di tarallucci, ma il Trullo dei Massimi che dà il nome al quartiere nel quale si trova, ha effettivamente qualcosa in comune con i suoi “colleghi” pugliesi. La sua forma conica, infatti, è quella tipica del tholos miceneo e, in generale, di molte antiche culture del Mediterraneo, tra cui quella etrusca.
Gli studiosi vorrebbero pertanto spiegare così l’architettura del sepolcro, databile al I secolo: esso sarebbe stato edificato da una famiglia trasteverina di antica nobiltà etrusca che qui si era insediata, ma che aveva adottato gli usi e i costumi romani. All’interno del mausoleo, infatti, sono presenti sette nicchie, nelle quali venivano poste le urne cinerarie dei defunti, come da consuetudine degli antichi abitanti dell’Urbe. L’interno, di forma circolare, doveva contenere poi anche affreschi ed iscrizioni tombali ed era posto più in alto del livello del terreno di allora.
Tutta la struttura poggia, infatti, su di una base di forma quadrata che oggi è però coperta dal terreno circostante, di natura alluvionale; l’edificio si trova, invero, sull’argine destro del Tevere, a pochi metri dal corso del fiume. Ed è stato proprio nelle sue profondità che i sommozzatori hanno trovato quelli che probabilmente erano i corredi funebri posti all’interno del sepolcro.
Dopo essere stato compreso nei possedimenti della famiglia dei Massimi, a cui è ormai legato dal nome, fu di proprietà di un’altra casata romana, i Merlo, cosicché la zona, che nel “Registro Sublacense” del 984 è denominata “Trullio”, cominciò ad essere chiamata nel Trecento “Contrada Trulli Meruli”, mentre duecento anni dopo, nella mappa di Eufrosino della Volpaia, viene citato il monumento con il nome di “Turlone”, a ridosso della via Portuense. In questo periodo e durante tutto il Medioevo poi, il luogo deve essere stato un punto di sosta per quanti si incamminavano verso il mare.
Fu solo nel 1951, cinque anni dopo che il quartiere aveva ripreso quello che quindi possiamo considerare il suo nome originario, che un’operazione dei sommozzatori impegnati nel recupero di una draga portarono alla luce le lastre di marmo della Lunigiana ed altri oggetti che molto probabilmente appartenevano al sepolcro. Sulle steli marmoree ritrovate sono incise figure maschili, una testa e due combattimenti fra gladiatori, in una delle quali è scolpita una breve epigrafe, “Iul W”, che secondo l’interpretazione proposta starebbe per “Iulius V vincit”, ovvero “Iulius vinse cinque volte (in combattimento)”. Un numero di vittorie degno di nota e che pertanto fu scelto come epitaffio.
Oggi, del Trullo originario, rimangono le pareti tufacee. Adagiato sulle sponde del Tevere, in duemila anni, l’antico mausoleo ha visto passare le acque del fiume, che come i viandanti che ha ospitato, erano, e sono, dirette al mare. Negli ultimo secolo, poi, accanto alle sue murature è fiorito un quartiere e poi, un altro ancora. Così, guardando il Palazzo della Civiltà che gli si staglia davanti, sembra quasi possibile sentire quel muto dialogo fra i due monumenti, separati da duemila anni e da un fiume: “qui, qualcuno, ci sarà sempre…”.
Di Gabriele Rizzi