Le fate del Trullo: storia delle grotte di Monte Cucco, parte I
“C’era una volta”, direbbe una classica fiaba di un massiccio libro di favole; “c’era una volta, continuiamo noi, una vecchia mappa di un inventore e orologiaio italiano, che di nome faceva Eufrosino della Volpaia. Di abile ingegno, Eufrosino accompagnava la sua passione per i meccanismi degli orologi e degli astrolabi a quella per la cartografia: grazie a lui, infatti, abbiamo notizia di un luogo incantato, situato su di una collina, nel quale erano solite riunirsi alcune fate…”.
In questo racconto, a metà tra il mito e la realtà, il protagonista è un personaggio realmente esistito, Eufrosino della Volpaia, appunto, nato a Firenze e vissuto tra il XIV e il XV secolo; la sua “Mappa della Campagna romana al tempo di Paolo III”, l’opera che ci interessa ai fini del racconto, è ancora oggi un documento di fondamentale importanza per la ricerca cartografica.
Essa, minuziosa e dettagliata, descrive i luoghi che circondavano la Capitale dello Stato della Chiesa nel 1547, luoghi i cui nomi sono gli antenati degli odierni toponimi.
Possiamo così ritrovare “Torre della Valle” (Tor di Valle), “Sguizzanello” (Schizzanello) o la Cicognola (Cecchignola). Ma al di là del Tevere, nei pressi dell’odierna Magliana, presso l’odierno Monte Cucco, colpisce subito l’attenzione dell’osservatore un toponimo che si accompagna a un disegno inequivocabile: “Grotte delle Fate”.
In realtà di tali caverne si ha notizia fin dall’antichità: qui avrebbe dimorato la mitica figura di Silvano, conosciuta con nomi diversi da Etruschi e Latini, popolazioni che riconoscevano il Tevere come confine dei loro rispettivi territori. Silvano, ovvero l’abitante dei boschi, sarebbe stato un anziano dalla folta barba, che avrebbe svolto la funzione di “arbitro” nelle questioni riguardanti i confini tra i due popoli.
Fu nei pressi di queste grotte che gli Etruschi costruirono probabilmente un insediamento, di cui però non è stata trovata traccia: sono state rinvenute però testimonianze di attività di estrazione della roccia, con cave che si estendono anche sottoterra sotto forma di gallerie e ampie camere ipogee. Possiamo però intuire che qui vi sia stato un avamposto militare dalle fonti e dalla conformazione del luogo: scendendo da Trastevere verso il mare i navigatori greci notarono la presenza di “sette villaggi”, di cui sappiamo poco, ma che erano posti in coincidenza degli affluenti del Tevere: oltre a quello presso il Rio Magliana (denominato forse “Allias”), avrebbe potuto esservene uno in corrispondenza del Rio Affogalasino, importante in quanto uno dei pochi corsi d’acqua della zona che doveva essere percorribile con un imbarcazione.
Si suppone pertanto che le grotte siano state adoperate come veri e propri magazzini dai commercianti sulla via per Veio. Ma la storia delle grotte non si fermò qui: in seguito esse avrebbero svolto un ruolo ancora più importante e il loro mito sarebbe cresciuto, fino ad arrivare ai giorni nostri…
Di Gabriele Rizzi