Le fate del Trullo: storia delle Grotte di Monte Cucco, parte II
Mitica dimora di Silvano per gli antichi abitanti di Roma e magazzino per i mercanti che si spingevano fino a queste rive del Tevere, le grotte di Monte Cucco hanno affascinato, sin dall’epoca etrusca, le persone che si sono trovate a passarvi vicino o a vivervi nei paraggi. Anche in seguito poi, sotto la dominazione romana, questo territorio continuò ad avere un significato particolare e il bosco che vi sorgeva ospitò il Collegio dei Fratres Arvales, dodici uomini scelti tra le famiglie patrizia romane che avevano il compito di propiziare buoni raccolti; gli studiosi ritengono che l’edificio nel quale erano soliti riunirsi sorgesse nei pressi dell’incrocio tra l’odierna via Magliana e via del Trullo.
Tale passato a metà fra il mito e la storia influenzò le tradizioni successive e gli abitanti del luogo cominciarono presto a chiamare tali caverne “Grotte delle fate”, rifacendosi probabilmente al mito di Silvano e all’importanza assunta dalle cavità in epoca romana; i romani di più di un millennio dopo però ne avrebbero fatto lo stesso uso dei loro antenati. Nei pressi di Monte Cucco sorsero infatti in età rinascimentale numerosi vitigni, uno dei quali, molto pregiato, era stato portato qui addirittura dalla Spagna: le grotte ritornarono ad essere quindi un luogo di stoccaggio per gli otri di vino, mentre sull’altura venne costruito anche un casale, ad oggi completamente scomparso.
Quando poi nell’Ottocento la Capitale cominciò a espandersi, sulla collina di Monte Cucco cominciarono a sorgere dei villini che si sommarono a quello già esistente di Villa Kock; vennero costruite Torre Righetti, l’edificio rurale detto il “Casalone” e le ville Bacelli e Usai.
Fu all’inizio del Novecento che parte della zona venne inclusa nel territorio del Genio Militare – tuttora presente – con le grotte che divennero un rifugio aereo durante la seconda guerra mondiale. E qui la leggenda torna ad affacciarsi su Monte Cucco: secondo la tradizione popolare, cunicoli e tunnel sarebbero stati costruiti per collegare le caverne agli edifici in rovina nella collina sovrastante. Le varie ville sarebbero quindi collegate attraverso un dedalo di vie sotterranee: come spesso accade però, voci di corridoio prendono strade sconosciute e tendono ad assumere forme e dimensioni leggendarie.
Forse è solo un’altra storia nata dal mito di Silvano o forse… Quello che è certo è che un’aura di mistero ha ammantato e continuerà ad ammantare questa parte di Roma Sud. E se il bosco di Silvano e delle fate descritte nella mappa di Eufrosino non esiste più, per gli abitanti delle colline di Magliana rimane ancora un altro mito rimane sul quale continuare a sognare.
Di Gabriele Rizzi