Una storia “industriosa”: l’Almone e il suo corso
Un “gre gre” di ranelle di pascoliana memoria echeggia in un placido pomeriggio di inizio maggio. Pacioso e racchiuso tra una fitta vegetazione, il fosso dell’Almone corre indisturbato come fa da millenni attraverso l’odierno Parco dell’Appia Antica. Sulle sue rive hanno trovato rifugio diverse specie, che possono prosperare in quest’area naturale nella quale si riversano altresì migliaia di romani e di turisti in visita.
Caro agli antichi Romani – il toponimo deriva dal nome del primo latino caduto negli scontri con i troiani di Enea – tale fiumiciattolo riunisce le acque di diverse altre “marrane” e se oggi continua il suo corso sottoterra fino al depuratore di Roma sud, fino agli anni ’40 esso sfociava nel Tevere all’altezza del Gazometro, dopo aver percorso quella che è oggi la Circonvallazione Ostiense.
Conosciuto con diversi nomi – Marrana della Caffarella, Marrana della Travicella o anche Marrana d’acquataccio – l’Almone ha un bacino particolarmente lungo, originandosi alle pendici dei Colli Albani. Dopo aver corso indisturbato attraverso l’Agro Laziale, il fiume arriva infine alle porte della città, dove nel corso dei secoli ha avuto un ruolo molto importante per gli abitanti della zona nota come “dell’Acquataccia”. Qui già nel 1081 è attestata la presenza di impianti per la lavorazione di tessuti, basata proprio sullo sfruttamento del rivo Almone.
Quattro secoli dopo abbiamo testimonianza della presenza di una “valca”, termine di origine longobarda (“walkan”) con la quale si era soliti indicare una ruota verticale posta lungo il corso di un fiume che andava ad azionare pesanti magli e che erano adoperati per il processo di finissaggio della lana (la “follatura”) o nelle cartiere. Nel 1677 sappiamo poi che tale mulino fu acquistato da Domenico Altimani che ne cedette l’uso ai Padri Cappuccini, che lo mantennero anche successivamente, proprio grazie alle volontà del loro benefattore.
La storia dell’Almone e delle attività che esso seppe far crescere non si fermò però qui: per molti altri secoli fino ai giorni nostri il rivolo continuò ad essere un valido alleato degli abitanti della zona… Sette giorni occorrono però che passino perché si conosca il resto di questo connubio millenario!
Di Gabriele Rizzi