Draghi a Dragona: la storia leggendaria di un quartiere, parte I
Ci sono luoghi a Roma dove la storia e il mito si intrecciano, dove la narrazione storica viene come avvolta tra le spire dei racconti tramandati di generazione in generazione e fagocitata dalle favole esposte al fuoco di un falò notturno. I racconti finiscono così per colmare i vuoti formatisi nei secoli di trasmissione orale e verità e leggenda si trasformano in un serpente letterario che si ingrandisce man mano che passa il tempo.
In effetti, l’immagine del serpente è particolarmente adatta al quartiere e all’area di cui ci apprestiamo a conoscere la storia: è proprio a questo animale, infatti, che si deve il nome delle zone conosciute oggi come Dragona e Dragoncello.
Proprio tale rettile doveva aver trovato in questo territorio un habitat a lui particolarmente adatto; difatti già la figura di Giunone, legata a quest’area, era accostata al serpente. Ma fu nell’Alto Medioevo (800 d.C.) che la zona cominciò a essere conosciuta come “Curtis Draconis”, chiamata così da Papa Gregorio IV – pare – proprio per la presenza di “draconi”, ovvero di colubridi, una specie di serpenti, appunto.
L’area di Dragona, tuttavia, è stata accostata anche alla figura di Enea; secondo alcuni studiosi, infatti, il luogo preciso dello sbarco andrebbe ricercato proprio nell’area di Dragona, ai piedi dell’altura nota come “Monte Cugno”.
All’epoca l’area costiera era profondamente diversa da quella odierna: il Tevere sfociava in un piccolo golfo chiuso da alcune barriere sabbiose e nel suo ultimo tratto era affiancato dai ripidi fianchi delle alture circostanti. E proprio su una di queste alture, l’eroe greco, tornato nella terra da dove proveniva – secondo l’autore romano Virgilio – il suo antenato Dardano, avrebbe costruito il suo accampamento.
In effetti, nell’Eneide viene raccontato come Enea, giunto presso la foce del Tevere, si inoltri nella “ombrosa corrente del fiume” (traduzione di Mario Ramous) e si occupi in prima persona dell’insediamento sorto “sulla riva” (Eneide, libro VII). Fu probabilmente per questo motivo che il cartografo Luigi Canina identificò il luogo occupato dal campo base troiano nell’area dove oggi sorge Dragona. Difatti, nella sua mappa dell’Agro Pontino del 1845, si può notare come egli situi il toponimo “Troja” presso la riva sinistra del Tevere, poche centinaia di metri prima della foce. Un’intuizione interessante, considerando che lo stesso autore individua poco più a nord-est l’abitato latino di Ficana, riportato alla luce solo nel 1973.
La storia di Dragona, quindi, è la storia di un territorio con un passato leggendario e storico allo stesso tempo, un passato fatto di città perdute e di popoli scomparsi, di “draghi” e di un fiume che, millennio dopo millennio, continua ad evolversi insieme alla sua città.
Di Gabriele Rizzi