I nostri avi… Antenati
Villa Ada. Un parco cittadino sede di due rappresentanze diplomatiche, un luogo di ritrovo per i cittadini in cerca di frescura, un’area verde perfetta per una passeggiata all’ombra di querce e lecci. Ma anche una parte di Roma dove storia e leggenda si intrecciano nel delineare le origini di quella che è la Capitale d’Italia. Perché nascoste sotto le radici delle innumerevoli querce di Villa Ada, giacciono probabilmente ancora oggi le tracce del passaggio di un popolo misterioso che, unitosi alla stirpe di Romolo, contribuì a rendere grande il mito dell’Urbe. Non sappiamo molto sull’origine della popolazione degli Antenati. Ciò che è certo è che essi derivano il loro nome del loro più importante insediamento, Antemnae. Un toponimo, questo, che riecheggia nel “Monte Antenne” odierno e che, in effetti, ci dice molto sulla localizzazione della capitale degli Antenati, in quanto in latino il suo significato è “davanti ai fiumi”: alla confluenza, cioè, tra il Tevere e l’Aniene. Era qui, infatti, che era posta la città principale di questo popolo. L’avevano costruita su di un’area un tempo caratterizzata da rupi scoscese e piccole valli perché fosse facilmente difendibile. Tale peculiarità, unita alla posizione strategica ottimale fornita dal controllo esercitato sulle imbarcazioni passanti in quel tratto di fiume, rese Antemnae una città fiorente e rilevante nella zona. Tutto questo la pose, però, sin da subito in contrasto con l’altra potenza in ascesa, Roma; le leggende narrano, infatti, di scontri già dall’epoca di Romolo, quando l’Urbe era stata appena fondata. Un fatto che sembra quindi confermare l’importanza rivestita dall’insediamento di Villa Ada. Sarebbe stata poi però la città dei sette re a inglobare Antemnae, con i suoi abitanti che furono integrati nel tessuto cittadino di Roma e trecento coloni inviati, invece, da Romolo nella città degli Antenati; l’insediamento avrebbe quindi resistito fino al III secolo a.C., quando fu poi abbandonato, per poi tornare duecento anni dopo agli onori delle cronache sotto forma di insediamento agricolo della gens Acilia. Tuttavia, il ricordo di una così fiorente città rimase nella memoria collettiva dei Romani, tant’è che la “turrita Antemnae” è ricordata nella virgiliana Eneide, scritta nel I secolo.
La posizione strategica già sfruttata dagli Antenati non sarebbe rimasta inutilizzata: laddove un giorno era fiorita Antemnae, sarebbe sorto, infatti, il Forte Antenne; fu proprio durante la sua costruzione che vennero portati alla luce i resti della città “perduta”, anche se la conferma della sua effettiva presenza nell’area era già stata data nel 1819 da Antonio Nibby. I resti furono traslati nel Museo delle Terme di Diocleziano – dove si trovano tuttora – e confermarono l’estensione dell’insediamento, sviluppato su di un’area ben più grande di quella oggi occupata dal Forte.
Oggi, il Monte Antenne svetta ancora nel verde di Villa Ada; sebbene non presenti più le rupi scoscese che videro la nascita della città di Antemnae, esso ci ricorda che la storia è passata di qua e che, di certo, lo hanno fatto anche i nostri Antenati. Intanto, però, il parco pubblico continua ad essere frequentato ogni giorno da migliaia di romani: sotto le fronde degli alberi si continua, quindi, a scrivere la storia dell’Urbe