L’Italia alla finestra: i discorsi di Conte e i loro antenati

Per noi – la generazione Z, i millenial…- i discorsi in televisione erano appanaggio di un tempo lontano, un mondo in bianco e nero che pensavamo già passato e rilegato nei vecchi scantinati. Se li ricordano i nostri nonni, li ascoltano i nostri genitori a fine anno, li rivediamo magari noi su Youtube per pura curiosità. Personalmente, ho ascoltato un paio di volte in diretta Mattarella e ho riletto la maggior parte sui giornali online e pensavo che avrei continuato a fare così. Epppure, eccoci qua, nel mezzo di una pandemia, ad ascoltare il Premier Conte.

Li chiamavano “Fireside chats”, chiacchere al caminetto. Dirette, semplici, colloquiali. Al microfono della NBC Franklin Delano Roosevelt si rivolse per la prima volta il 12 marzo 1933: fu solo il primo di una lunga serie di discorsi che il Presidente americano pronunciò fino al 1944. La crisi economica, le migrazioni interne, la Seconda guerra mondiale: non erano tempi semplici. In questi momenti, però, la vicinanza tra il vertice dello Stato e la popolazione accrebbe la fiducia e la speranza: basti pensare che quando FDR chiese di avere sempre sott’occhio un mappamondo per illustrare la guerra su scala globale, le cartolerie andarono sold-out. In quella che sembra poi una descrizione degna dei migliori anni ’20, lo scrittore Saul Bellow racconta di una sera estiva in cui passeggiando ebbe modo di notare gli effetti del discorso rooseveltiano: al riparo degli olmi persone solitamente estranee l’una all’altra fumavano e ascoltavano insieme la voce del Presidente, le portiere delle macchine aperte a liberare nell’aria immobile un accento dell’Est americano.

Non possiamo vederci ora, lontani nelle nostre case: dall’altra parte della strada scorgo, però, una televisone accesa e mi stringo alla mia famiglia e – idealmente – a quella del marciapiede opposto. La radio ieri, la TV oggi: nell’epoca di Netflix é ancora il mezzo che riesce ad entrare in ogni casa. Forse un giorno qualcuno scriverà un libro anche su questi discorsi, in un racconto su di un periodo che certamente passerà alla Storia. Quello che possiamo fare, ora, è uscire in balcone e ascoltare una voce: un filo che ci unisce, casa per casa.

Gabriele Rizzi

Classe 1996, maturità classica, Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, giornalista pubblicista. Mi interesso soprattutto di storia antica e recente, con particolare riferimento a quella del quadrante Sud di Roma, spesso ignorato ma ricco di tesori e di storie nascoste.

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