Una rondine negli occhi: la Summer School dei Giovani per la Pace nel campo profughi di Schisto
“Thank you for the surprise“, ci fa Marsana (nome di fantasia) lasciandoci con un ultimo abbraccio. La Summer school con i bambini del campo profughi di Schisto si é conclusa oggi e noi, una decina di ventenni romani, siamo pronti a tornare a Roma o ad incontrare gli altri Giovani per la Pace d’Europa, a Berlino.
Tutto sembrava parlare di guerra nel campo profughi: la vedevamo nei volti, nelle mani dei più piccoli che giocavano con il filo spinato, nei comportamenti di Amir che, indicandosi si chiedeva: “Why do I fight, why do I fight?“. Otto anni e un’esperienza che nessun bambino dovrebbe poter raccontare. O mimare con le mani, come faceva lui. Una pistola ed un volto mascherato, così é morto il padre, in Somalia.
Tutto sembrava parlare di guerra sulla pelle di Mustafa, 4 anni, venuto dall’Afghanistan su di un gommone che gli ha lasciato cicatrici da bruciatura sul piccolo corpo. Tutto raccontava di una vita passata a fuggire dalla guerra nel terrore che alcuni bambini avevano dell’acqua delle fontane. Tutto sembrava parlare di guerra nella maglietta strappata di Roshana, uno zaino disegnato sulla schiena per chi, a scuola non ci é mai andata né chissà se ci potrá andare, perché per ora deve ancora avere i documenti giusti per entrare nel campo. Grazie a lei abbiamo capito una volta di più quanto fosse importante tenere in mano una matita o saper scrivere il proprio nome: nel suo sguardo perplesso di sei anni quando ci aveva visto uscire dal campo con tutti quei suoi coetanei brillava, infatti, tutta la voglia di imparare. E di scrivere con una penna che non sapesse della terra dell’Afghanistan, dell’Iran, della Turchia e della Grecia. Tutto sembrava parlare di guerra. Tutto tranne quegli occhi, gli occhi di tutti i bambini che abbiamo visto illuminarsi di fronte alla semplicità di un foglio di carta, di un gioco o della pizza dell’ultimo giorno. O come gli occhi sorridenti di Clemence, due gambe storte che non fermano la gioia irrefrenabile di un bambino che é sempre pronto ad incitare per nome i suoi coetanei e noi amici più grandi. Ci hai dato tante lezioni di vita, Clemence. Perché nei tuoi occhi e negli occhi di tanti bambini abbiamo visto una curiosità ed una semplicità pronta a prendere il volo come quella rondine che ha fatto il nido nel filo spinato. Si dice che una rondine non faccia primavera, eppure vi lasciamo con la sicurezza che le giornate di giochi e attività che abbiamo organizzato per voi, i disegni che ci avete fatto raccontandoci di voi e spiegandoci cosa voleva dire amicizia per voi, non saranno passeggeri e che abbiano contribuito a spezzare l’incantesimo della guerra nei vostri cuori e vi abbiano costruito un nido di pace. Nella speranza che a settembre, quando la rondine migrerá, voi possiate lasciare il campo per dei banchi di scuola ed una vera casa dove fare i compiti. E che, come ci ha detto Mossahid, “un giorno ci rivedremo, qui o in un altro paese“.